29/02/12

Il Nome della Rosa

"Il Nome della Rosa" è un famoso romanzo scritto nel 1980 da Umberto Eco. Dal libro è stato anche tratto un film.
Il romanzo è ambientato alla fine del novembre del 1327 in un monastero benedettino.
La vicenda è suddivisa in sette giornate e vede come protagonisti Guglielmo da Baskerville
frate francescano e Adso da Melk. 
Nel novembre del 1327, il benedettino Adso da Melk accompagna in un’abbazia del Nord Italia il suo maestro, frate francescano Guglielmo di Baskerville, incaricato di indagare sulla morte di un monaco benedettino e di fare da mediatore tra la delegazione papale e quella francescana che, in quei giorni, si sarebbero incontrate in quella stessa abbazia.
Giunti al monastero l’abate illustra la morte del monaco Adelmo da Otranto durante una bufera. L’abate concede al frate francescano di indagare in tutta l’abbazia tranne nella biblioteca dove posso recarsi solo il bibliotecario Malachia e l’aiuto bibliotecario Berengario.
Insospettito il frate incomincia ad investigare e scopre che Adelmo prima di morire aveva incontrato l’aiuto bibliotecario che gli aveva confidato un segreto su un misterioso libro celato nell’impenetrabile biblioteca.
Il terzo giorno Guglielmo continua la sua ricerca, quando viene ritrovato un altro cadavere. Il frate scopre che ad uccidere il monaco è stato un potente veleno sottratto a Severino l’erborista.
Quella stessa notte Guglielmo entra nello scriptorium per frugare sotto il banco di Adelmo dove trova una preziosa pergamena (avente a che fare con il “secretum finis Africae” ), e dove incrocia una misteriosa persona che lo aveva preceduto sottraendo un libro nascosto sotto il banco di Venanzio.
All’alba del quinto giorno viene trovato un altro cadavere, quello dell’erborista Severino ucciso da un potente veleno.
Guglielmo il quinto giorno scopre che il  secretum finis Africae è un passaggio per raggiungere la stanza dove è celato il prezioso manoscritto 
Ma il giorno seguente anche Malacia cade morto davanti a tutti, anch’egli stroncato dallo stesso veleno letale. intanto Guglielmo scopre il segreto per entrare nel “finis Africae” e così la notte si avventura con Adso nella biblioteca. Giunto in una stanza dove era posto uno specchio, preme le lettere di una scritta indicate dalla pergamena di Venanzio facendo aprire lo specchio ed avendo così accesso alla stanza segreta. Lì trova il monaco cieco Jorge da Burgos.
Guglielmo aveva intuito che Jorge fosse la causa di tutti i delitti, e scopre anche che il misterioso libro è cosparso di un veleno letale che si trasmetteva al tatto. Nel frattempo si perpetrava l’ultimo delitto: Jorge aveva rinchiuso l’abate in una stanza dove questo sarebbe morto per asfissia. Guglielmo aveva ora chiara tutta la situazione: il secondo libro della poetica di Aristotele, poiché sosteneva la liceità del riso, veniva considerato da Jorge molto pericoloso per l’intera Chiesa. Così quello lo aveva cosparso di un veleno letale che non avrebbe dato scampo a chi lo avesse sfogliato. Il primo ad averlo fatto era stato Venanzio, dopodiché Berengario, Severino invece, venuto in possesso del libro a sua insaputa,  era stato ucciso da Malachia che era morto a sua volta leggendolo.


Jorge, a quel punto smascherato, tenta di distruggere il libro; così appicca un incendio con una lampada ad olio e subito vi getta il libro maledetto. Le fiamme non smetteranno di bruciare per ben tre giorni e oltre alla biblioteca divoreranno l’intera abbazia. 




La Chiesa tentava di occultare e plagiare la verità, impedendo ai cristiani di conosce tutto ciò che era vero. Questo era possibile grazie al potere che la Chiesa esercitava a quel tempo in maniera autoritaria sul popolo.
Sia nel libro che nel film a prevalere è la censura, il desiderio di soffocare il sapere a costo di spezzare vite umane.
Il punto chiave del libro è quando il monaco cieco Jorge rivela che secondo lui il ridere faceva deformare il volto umano e faceva cadere in tentazione gli uomini. Il  monaco inoltre reputa pericolosi tutti i libri di Aristotele perche nel corso dei secoli avevano creato gravi problemi alla chiesa. A maggior ragione si doveva nascondere il manoscritto perché avrebbe condizionato non solo la vita dei monaci ma avrebbe cambiato la vita a tutti coloro che fossero venuti a contatto con il “libro maledetto”.

Ernesto Zarrella

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